Durante l’intera storia russa, escludendo il periodo della Rus’ di Kiev e quello postsovietico, si assistette ad una fase di progressivo espansionismo dello Stato russo che tra la metà del XVI secolo e gli anni Ottanta del XX secolo, seguì tre principali direttrici: quella occidentale verso il Baltico e la Polonia, quella orientale verso la Siberia, l’Estremo Oriente e l’Alaska, e quella meridionale verso il Mar Nero, il Caucaso e l’Asia Centrale. Gli anni cruciali di questa espansione coincisero con il regno degli Zar. A seguito del 1917 l’espansionismo russo riprese dinamismo, dopo essere stato di fatto bloccato dalla sconfitta del 1905 contro il Giappone, ma le forme che esso assunse durante la Guerra Civile e durante la Guerra Fredda furono diverse. Infatti, esso fu inizialmente finalizzato a riconquistare i territori appartenuti all’Impero Russo e poi persi; inoltre, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale l’espansionismo dell’URSS rimase privo di palesi azioni militari al di fuori della sua sfera d’influenza (o “impero esterno” secondo la definizione di Zbigniew Brzezinski) e lo stesso intervento in Afghanistan non può considerarsi un’invasione a pieno titolo, dato che esso fu richiesto dal governo afghano di Hafizullah Amin.
Volendo analizzare quali elementi di peculiarità l’espansionismo imperiale russo abbia sviluppato nel corso dei secoli, possono essere adoperati due diversi approcci: la teoria delle relazioni internazionali e l’analisi della politica estera. La prima teoria presuppone che a determinare le scelte di politica estera di uno Stato siano fondamentalmente i segnali provenienti dal contesto internazionale stesso. Questo approccio postula quindi che di fronte a medesimi stimoli esterni, attori diversi agiscano e reagiscano allo stesso modo. Così facendo la teoria delle relazioni internazionali rischia di non porre la necessaria attenzione a fattori che inevitabilmente concorrono al processo di produzione della politica estera di un Paese. Il classico approccio analitico della Foreign Policy Analysis1sopperisce a questo limite, considerando ciascuno Stato come un unicum le cui azioni sono elaborate a partire da variabili, siano esse indipendenti come il fattore geopolitico e l’ambiente internazionale o domestiche come il contesto istituzionale e la personalità dei dirigenti politici. Tali elementi fanno dell’analisi della politica estera il metodo più utile per evidenziare quali siano i caratteri tipici dell’espansionismo russo lungo i secoli.
Le variabili indipendenti sono quegli elementi che influenzano un Paese senza che questi possa agire direttamente modificandoli, piuttosto essi tendono a mutare nel lungo periodo a causa dei progressi in ambito tecnologico o per via del processo di distribuzione e ridistribuzione del potere a livello internazionale.
La geografia impone dei limiti e delle opportunità fisiche ad uno Stato. La conformazione morfologica del territorio, il suo clima, la distribuzione demografica ed etnica al suo interno, la sua collocazione in una particolare regione, continente o in generale nel mondo, sono tutte varianti geopolitiche che possono condizionare, anche in maniera profonda, la politica estera di un Paese.
Nel caso della Russia è immediato rivelare quale sia la caratteristica principale e assolutamente unica di questo Paese: l’estrema vastità del più grande Stato del pianeta. Con i suoi attuali 17 milioni di km2, il territorio russo copre oggi il 13% della superficie emersa mondiale mentre durante il periodo zarista giungeva a coprirne addirittura il 17%2. Di conseguenza il territorio risulta essere assai variegato, vi si alternano ambienti artici a paesaggi di Tundra, Taiga, Steppa e foresta temperata. Tra le tante variabili citate, la più rilevante per comprendere l’espansionismo dell’Impero Russo è la morfologia del territorio. Per quanto i territori russi siano costituiti da diversi ambienti e paesaggi infatti, essi si sviluppano per lo più lungo sconfinate pianure. Ciò è particolarmente rilevante per due motivi. In primo luogo l’assenza di nette barriere geografiche ha reso il territorio russo un corridoio di comunicazione tra Europa ed Asia; in secondo luogo, questa stessa assenza ha influenzato in maniera decisiva il modo con cui i russi e i loro dirigenti politici considerano le minacce esterne.
La mancanza di netti confini statali ha reso la Russia un Paese incredibilmente soggetto alle invasioni. Nel corso dei secoli una in particolare pesò a tal punto sulla coscienza russa da innescare una fase di espansione sostanzialmente continua. L’Orda Mongola penetrò a partire dal 1223 nei territori slavo-variaghi e mantenne il controllo sulla Terra di Rus’ per quasi due secoli e mezzo fino al 1480. Oltre a decretare la fine della Rus’ di Kiev, quest’invasione insinuò nella percezione comune nazionale il timore costante di un’invasione territoriale da parte del nemico esterno. L’assenza di barriere geografiche ben definite infatti spinse i principi prima e qualsiasi leader russo (zar o segretario di partito) poi, ad intraprendere politiche espansioniste mirate a frapporre il maggior spazio possibile tra essi ed il nemico, in modo tale da affrontarlo quanto più lontano possibile dal centro dei loro territori3.
Un’altra variabile indipendente che è intervenuta nell’elaborazione della politica estera imperiale russa appartiene al fattore internazionale: si tratta della variabile del potere. Nella teoria delle relazioni internazionali il potere e la sua distribuzione sono considerati i primi, e sotto certi aspetti gli unici, elementi di ordine del sistema internazionale. Corollario a questa considerazione è la teoria del “vuoto di potere”, secondo la quale uno Stato tenderà ad espandersi nei territori liberi confinanti o in quelli che, seppur popolati, egli considera “vuoti” data la disparità di potere tra esso ed i soggetti politici locali. Nella storia russa una fondamentale redistribuzione del potere è avvenuta nel corso del XVI secolo, quando il Principato di Mosca si rivelò capace di sconfiggere le sue dirette e principali minacce orientali, ovverosia i Khanati eredi dell’Orda d’Oro. Se da un lato la direttrice occidentale è stata condizionata in maniera meno significativa da questa variabile a causa della presenza di forti soggetti politici come la Svezia o la Polonia, dall’altro lato essa ha invece costituito per l’Impero Russo un deciso incentivo all’espansionismo orientale e centrasiatico, dove rilevante era anche il timore che questi territori “liberi” potessero essere annessi da altri, impero britannico in primo luogo.
Passando ora al secondo livello di analisi, quello dei fattori domestici, è evidente che tutte le esperienze statali russe, ancorché con gradi diversi di centralismo, sono state fortemente stataliste. Nella mentalità russa era ed è ancora fortemente radicata l’idea che lo Stato russo debba essere forte per esistere, sia sul piano interno che esterno. Ritenere tuttavia che le decisioni in politica estera fossero affidate unicamente alla volontà degli Zar e delle Zarine non è del tutto corretto. Prima di Pietro il Grande, gli Zar condividevano la propria autorità con due istituti rappresentativi: la Duma boiara e gli Zemskij Sobor, grossomodo paragonabili la prima ai regi consigli e i secondi agli stati generali europei. In un sistema basato su consuetudini e tradizioni è difficile cogliere la vera portata di queste assemblee, tuttavia entrambe avevano competenza anche su materie delicate come la guerra e la pace4. Pietro il Grande riformò l’amministrazione del suo Impero in maniera che rispecchiasse l’organizzazione dei regni occidentali che aveva visitato. Lo Zar si affidò così ad un nuovo istituto: il Consiglio di Stato. Nato sotto lo stesso Pietro il Grande con il nome di Consiglio Segreto, assunse fino al 1905 una funzione di governo prettamente consultiva.
Questo centralismo ha avuto due principali ripercussioni in politica estera: la prima nella tendenza alla gestione personale delle relazioni internazionali, si pensi ad esempio alla decisione assunta da Pietro III nel 1762 di ritirarsi dalla Guerra dei Sette anni e di passare da nemico ad alleato della Prussia di Federico II. La seconda conseguenza, più importante per comprendere l’espansionismo, permise curiosamente a generali e governatori di confine di intervenire in maniera significativa nel processo di produzione della politica estera dal momento che, dovendo in ultima istanza compiacere solamente lo Zar, essi potevano assumersi l’intera responsabilità di una conquista ben sapendo che a seconda dell’esito avrebbero ottenuto gli onori o la rovina. La conquista dell’Estremo Oriente e dell’Asia Centrale è piena di questi arditi individui: da Mikhail Cernjaev a Erofej Pavlovič Chabarov.
Questi elementi ci introducono al terzo e ultimo livello di analisi, quello della personalità dei dirigenti politici. Non solo i generali di frontiera dovevano dimostrare una spiccata audacia per farsi promotori di azioni di politica estera da cui potevano scaturire vere e proprie guerre contro altre potenze europee, ma la stessa personalità degli Zar costituiva una variabile importante. Il potere dell’Imperatore era infatti indiscusso, ma qualora egli avesse dimostrato una personalità debole, incapace di imporre una chiara visione internazionale, gli istituti che lo circondavano avrebbero avuto l’occasione di ampliare, di fatto, i loro poteri andando ad influenzare, anche in maniera significativa, la politica estera russa.
Il livello della personalità dei dirigenti politici è il più delicato tra i diversi piani di analisi e probabilmente quello con più variabili in gioco. Il trascorso personale, il carattere, l’ideologia e la provenienza sono tutte varianti che possono agire inconsapevolmente sulla cerchia al potere influenzandone le decisioni. Come si è già accennato, durante lo Zarato e l’Impero, il peso della personalità del capo politico era fondamentale in politica estera. Ricordiamo ad esempio il regno di Ivan IV, segnato nel secondo periodo dalla sua pazzia; quello di Pietro il Grande, la cui passione per l’Europa segnò irreversibilmente la storia russa specie dopo che visitò, durante la Grande Ambasceria, l’Inghilterra, la Francia e il Sacro Romano Impero, studiando la costruzione delle navi ad Amsterdam; o ancora l’ardore ascetico dello Zar Alessandro I, che volle l’istituzione di una Santa Alleanza fondata sui princìpi cristiani; ed infine il successore Nicola I, che fece della Russia lo Stato garante della Restaurazione.
Accanto a quelle che sono le caratteristiche personali di ciascun imperatore, che richiedono un’analisi approfondita e contestualizzata per capirne le dinamiche in politica estera, ve n’è una che appartiene a tutta la classe dominante russa e si tratta nello specifico di quella particolare “geopolitical stress” di cui parla Trenin, sospesa tra l’anima europea e quella asiatica della Russia. L’espansionismo verso l’Estremo Oriente e l’Asia Centrale assunse la sua maggiore intensità, non a caso, dopo la sconfitta nella Guerra di Crimea. La conclusione di questo conflitto fu un grande shock per l’aristocrazia russa, non tanto perché la Russia aveva vinto fino ad allora ogni singola guerra combattuta dai tempi di Pietro il Grande, ma soprattutto perché a sconfiggerla fu una coalizione di potenze europee composta da Gran Bretagna, Francia e Regno di Sardegna, alleate con l’Impero Ottomano. Come sostenne Dostoevskij: «Essa [l’Europa, nda] non crederà mai che noi possiamo prendere parte alla sua civiltà. Essa ci considera intrusi, usurpatori, ladri che hanno rubato la civiltà all’Europa e si sono vestiti delle sue vesti. L’Europa si sente più vicina ai turchi e ai semiti che a noi, ariani…»5. L’espansionismo verso Est ebbe quindi una forma di rivalsa verso l’Occidente, un tentativo di confrontarsi “all’europea” con popoli asiatici. Solo in questo periodo, infatti, l’espansionismo russo venne arricchito dalla convinzione che la Russia potesse avere una “missione di civiltà” in Asia. Le armate imperiali avrebbero portato la modernità alle popolazioni asiatiche, e quella stessa civiltà europea che sembrava vessare i russi ad Occidente divenne motivo e strumento delle élite politiche per l’espansione ad Oriente. Sempre Dostoevskij precisa: «L’Europa è la nostra madre, la nostra seconda madre. Da lei abbiamo appreso molto e molto apprenderemo senza essere ingrati […]. In Europa siamo stati schiavi e parassiti, in Asia saremo europei. La nostra missione civilizzatrice in Asia ci rinfrancherà»6.
Nel corso dei secoli l’espansionismo dell’Impero Russo è stato sempre considerato frutto dell’aggressività naturale del suo popolo. Prima i britannici, poi gli statunitensi, hanno interpretato le azioni di politica estera di Pietrogrado e Mosca come prove della loro ostilità. Una nuova distribuzione del potere sta avvenendo in questi anni, ma i territori liberi si sono ormai esauriti, e l’espansionismo russo assume nuove forme. Limitato nell’uso dell’hard power, cultura, lingua, tradizioni, finanza, energia e sicurezza sono divenuti i suoi strumenti principali. Ancor oggi certa letteratura tende a vedere nella Russia l’acerrimo nemico di sempre, ridimensionato sì dopo il 1991 ma fermamente intenzionato a proseguire nel cammino di dominio intrapreso nel XVI secolo. Tali valutazioni sono inesatte poiché Mosca tenta ora, non senza criticità, di riaffermare concreti interessi nazionali che percepisce come in pericolo.
Come abbiamo osservato, è presumibile affermare che l’espansionismo russo trovi le proprie origini non tanto in una presunta combattività del suo popolo, quanto piuttosto in variabili che agirono e agiscono su più piani diversi e che influenzano il processo di produzione della politica estera. Nella Russia di Putin non poche di quelle stesse variabili sono ancora in gioco, alcune rimanendo fondamentalmente inalterate, altre venendo ridefinite secondo altri parametri mentre altre ancora, come il processo di ridefinizione della Russia in qualità di Stato-nazione, sono completamente nuove.
- Si veda V. A. Hudson, Foreign Policy Analysis. Classic and Contemporary Theory, Rowman & Littlefield Publishers, Lenham MA, 2007.
- D. Trenin, The End of Eurasia: Russia on the Border Between Geopolitics and Gloalization, Carnegie Moscow Center, Washington Dc, 2001, p. 21.
- Ivi.
- Nel 1471, ad esempio, fu riunito uno zemskij sobor prima della campagna militare contro Novgorod, cosi come ne vennero convocati anche nel XVII secolo (1632-1634, 1636-1637 e 1642) su temi come la guerra in Polonia, la Crimea e i rapporti con la Turchia.
- F.M. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, cit. in A. Ferrari, La Foresta e la Steppa, mito dell’Eurasia nella cultura russa, Mimesis Edizioni, Milano – Udine 2003, p. 91.
- Ibidem, p. 92.