«Scrittore polacco, nato il 27 maggio 1876 a Vitebsk. Laureatosi a Parigi, fu dal 1899 al 1903 docente di fisica e chimica al politecnico di Tomsk, donde fece lunghi viaggi in Siberia e nell’Estremo Oriente. Per alcuni anni ebbe anche incarichi importanti nell’esercito russo dell’oriente, e dal 1909 al 1917 presso il ministero della Marina a Pietroburgo. Professore di chimica al politecnico e all’accademia agraria di Omsk dal 1918 al 1920, fece parte del governo di Kolčak. Dal 1922 al 1924 insegnò geografia economica in alcune scuole superiori di Varsavia». Così l’Enciclopedia Treccani, alla voce “OSSENDOWSKI”, descrive brevemente la vita di una delle figure più controverse, misteriose, ma sicuramente affascinanti del secolo scorso.
Membro della resistenza polacca negli anni dell’occupazione tedesca e nemico giurato dei sovietici, Ferdynand Antoni Ossendowski fu sempre un intellettuale liberale, sebbene progressista. Nel 1905, durante i moti rivoluzionari conseguenti alla sconfitta zarista nella guerra russo-giapponese, lo scrittore polacco prese parte alle attività del Comitato Rivoluzionario Centrale, un’organizzazione di sinistra che cercò, senza successo, di prendere il potere in Manciuria. Fallita la rivoluzione, Ossendowski organizzò uno sciopero contro la brutale repressione del Regno di Polonia, venendo arrestato e condannato a morte da un tribunale militare, pena poi commutata in diversi anni di lavori forzati. Cosa spinse, dunque, un patriota polacco critico nei confronti dell’autocrazia zarista ad aderire, tre lustri più tardi, al progetto del barone Roman von Ungern-Sternberg di un impero teocratico paneurasiatico? La risposta a tale quesito va ricercata innanzitutto nelle vicissitudini scaturite dallo scoppio della guerra civile russa all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre.
Ossendowski si era da poco trasferito ad Omsk, dove era stato chiamato ad insegnare chimica al politecnico e all’accademia agraria della città. Tra i suoi “protettori”, l’ammiraglio Aleksandr Vasil’evič Kolčak, comandante della Flotta del Mar Nero impegnata nel conflitto mondiale in corso. Alla presa del potere da parte dei bolscevichi, Kolčak si dimise dal suo incarico, organizzando un esercito controrivoluzionario e un governo, con sede ad Omsk, che in poco tempo riuscì ad imporre la propria sovranità sull’intera Siberia. Convinto della missione dell’ammiraglio, con cui condivideva un’avversione viscerale per i bolscevichi, Ossendowski si unì al suo governo in qualità di funzionario del Ministero delle Finanze e dell’Agricoltura. Tuttavia, nonostante i successi iniziali, le truppe di Kolčak furono ben presto scacciate dall’Armata Rossa; costretto a ritirarsi ad Irkutsk, nel 1921 l’ammiraglio sarebbe infine stato catturato e ucciso dai bolscevichi.
Con le sorti del conflitto sempre più compromesse dalla vittoriosa controffensiva bolscevica, Ossendowski fu costretto a fuggire di città in città fino a raggiungere, all’inizio del 1920, Krasnojarsk. Un giorno, durante una visita ad un amico, la sua casa fu circondata da un distaccamento di soldati rossi venuti apposta per catturarlo. Costretto ad una fuga precipitosa, lo scrittore polacco divenuto bersaglio del nuovo regime russo indossò una vecchia tenuta da caccia dell’amico e acquistati, strada facendo, «un fucile, trecento cartucce, un’ascia, un coltello, un cappotto di montone, tè, sale, gallette e un bollitore», iniziò un’incredibile quanto rischiosa peregrinazione. Dopo un infelice tentativo di raggiungere l’Oceano Indiano attraverso il Tibet, Ossendowski dovette trascorrere molti mesi confrontandosi con gli orrori della violenza e della paura, lottando per sopravvivere attraverso l’Asia Centrale.
Ed è proprio nel cuore dell’Asia, nella sconfinata, misteriosa e ricca Mongolia, che lo scrittore polacco fece le sue più importanti esperienze, le stesse che poi narrò con magistrale bravura nel suo libro più famoso, “Bestie, uomini e dei”. Gli sconvolgimenti geopolitici conseguenti allo scoppio della rivoluzione in Russia avevano posto gli uni contro gli altri mongoli, cinesi, truppe bianche e bolscevichi, ciascuno deciso a difendere i propri interessi, talvolta mutevoli, tessendo intrighi, esercitando violenze e violando accordi.
Fu in tale clima, cruento e imprevedibile, che Ossendowski fece il suo incontro con il barone Roman von Ungern-Sternberg, noto anche come Ungern Khan, “Barone Nero” e “Barone sanguinario” a causa della durezza dei metodi da lui impiegati contro la popolazione locale e i suoi stessi sottufficiali. Nato secondo alcune fonti in Austria, ma più probabilmente in Estonia, da una famiglia appartenente alla nobiltà baltica di lingua tedesca, Ungern-Sternberg era un ex ufficiale dell’impero zarista contrario tanto al governo bolscevico quanto alle forze bianche di Kolčak, di cui non riconobbe mai l’autorità. Capo di stato maggiore agli ordini del generale cosacco Grigorij Semënov, che con il sostegno del Giappone si adoperava per la creazione di uno stato fantoccio in Transbaikalia, il 7 agosto 1920 Ungern-Sternberg decise di rompere con l’atamano, trasformando la sua Divisione Asiatica di Cavalleria in un’unità di guerriglia al servizio di una grande controrivoluzione eurasiatica.
Ritenendosi la reincarnazione di Gengis Khan, il barone mirava infatti alla liberazione della Mongolia dall’occupazione cinese con l’obiettivo di farne uno stato teocratico di tipo lamaista dal quale scatenare le masse orientali contro l’Occidente materialista, passando per la Russia bolscevica. Quando Ossendowski, nel corso della sua fuga dai bolscevichi, raggiunse la Mongolia, Ungern-Sternberg lo accolse con ospitalità, concedendogli il diritto di cittadinanza nei territori sotto il suo controllo: era l’inizio di un sodalizio destinato ad essere breve, ma intenso. Arruolatosi come ufficiale al comando di una delle unità di autodifesa dell’esercito del barone – nel quale confluivano mongoli, buriati, russi, cosacchi, caucasici, tibetani, coreani, giapponesi e cinesi – Ossendowski divenne ben presto suo consigliere politico e capo dei suoi servizi segreti, avendo già ricoperto, con ogni probabilità, incarichi analoghi nel governo di Kolčak.
Stando a quanto sostenuto da Louis de Maistre, Ossendowski sarebbe infatti stato coinvolto nell’affare Sisson, un insieme di documenti che sostenevano una tesi cospirativa volta a dimostrare che la Rivoluzione russa era stata sobillata dalla Germania per disimpegnare il fronte orientale e concentrare tutte le truppe in Occidente. Nonostante la loro scarsità, gli elementi disponibili sulla biografia di Ossendowski sembrano avvalorare l’ipotesi che lo scrittore polacco abbia effettivamente svolto attività di spionaggio per il fronte dei Bianchi prima di unirsi all’esercito di Ungern-Sternberg. Nell’ambito del suo contributo al progetto controrivoluzionario di quest’ultimo, alcuni studiosi hanno anche ipotizzato che la mano di Ossendowski abbia prestato aiuto nella stesura dell’Ordine n. 15, il celebre proclama di chiamata alle armi con cui il barone intendeva scatenare la razza gialla contro l’Occidente. Il tono retorico del testo lascia infatti presupporre l’intervento di persone che avessero qualche abilità letteraria, piuttosto che quello di militari poco avvezzi alla scrittura. Tuttavia, gran parte dell’attività svolta dallo scrittore polacco in Mongolia tra l’agosto e la fine del 1920, quando fu inviato in missione diplomatica in Giappone, resta tutt’oggi avvolta nel mistero, come enigmatica rimane anche la sua fine.
Il 1° gennaio 1945 la villetta di Ossendowski nei pressi di Varsavia venne visitata da un ufficiale tedesco, che si trattenne a parlare con lo scrittore per qualche ora prima di uscire dall’abitazione con una copia di Bestie, uomini e dei. Alcuni testimoni e giornalisti dell’epoca avanzarono l’ipotesi che l’ufficiale tedesco potesse essere un parente dell’ormai defunto Ungern-Sternberg, un certo Dollert che lavorava per i servizi segreti tedeschi e che nel dopoguerra si sarebbe fatto frate francescano ad Assisi. Nella copia del libro – si disse – potevano esserci documenti riservati riguardanti le vicende di cui Ossendowski era stato testimone; da qui l’interesse da parte dell’ufficiale. Ciò che è certo è che appena due giorni dopo, il 3 gennaio 1945, Ossendowski si spense, portando nella tomba i segreti relativi agli aspetti esoterici di Bestie, uomini e dei. Il libro, diventato un classico del romanzo d’avventura, terminava con la visione di «una nuova, immensa migrazione di popoli, l’ultima marcia dei Mongoli» alla conquista dell’Eurasia. Un impero, quest’ultimo, alla cui creazione lo stesso Ossendowski, a dispetto delle sue convinzioni personali, si era adoperato nei mesi trascorsi al servizio di Ungern-Sternberg, colui che, con il senno di poi, può essere considerato come l’ultimo dei Mongoli e il primo degli eurasiatisti.
* Giovanni Valvo è un analista geopolitico indipendente specializzato in questioni eurasiatiche.